Nell'induismo la persona è strettamente legata all'ambiente, non solo in relazione alle sue strette necessità corporali, ma anche per un sano sviluppo della coscienza spirituale che dall'ambiente riceve stimoli e ispirazione (1).
La persona è prima di tutto un individuo, con una propria autonomia decisionale (libero arbitrio), che gli proviene dalle proprie facoltà psichiche, mentali e intellettuali (potenzialità che la persona può usare nel bene e nel male, senza che Dio intervenga imponendo il proprio volere). E' proprio l'esercizio del libero arbitrio che sancisce una certa individualità e autonomia della persona. Secondo l'induismo l'individualità della persona (giva-atma), è il presupposto per l'uso delle proprie facoltà in relazione all'habitat e all'ambiente vitale e ciò è interconnesso alla legge del Karma (2). L'individualità, l'autonomia del sé, il libero arbitrio e la facoltà di scegliere e discriminare (nell'ambito delle proprie specifiche potenzialità ed in accordo a tempo, luogo e circostanza), sono un patrimonio concesso da Dio alla persona, e nessuna cultura, politica, società, civiltà o religione gli può negare.
Il karma che la singola persona è in grado di produrre può influenzare negativamente o positivamente le entità viventi e l'ambiente circostante (3). Per l'Induismo il rispetto e la cura dell'ambiente sono prima di tutto una presa di coscienza filosofica e spirituale ed in seconda istanza una questione etico-morale di natura sociale e civile; la prima non è più importante della seconda, ma la seconda non può sussistere senza la prima (4). Per l'Induismo, a monte di ogni azione e di ogni scelta, vi deve essere il vaglio dell'intelletto supportato da una filosofia che da "professa" (teorica) divenga "praktica". Nulla nell'agire del fedele induista è accettato a livello di pura fede (il fanatismo religioso in India è quasi sconosciuto, se si considera una popolazione di circa un miliardo di persone); la fede religiosa nell'induismo è la più fulgida espressione del più appropriato e pieno uso dell'intelletto al servizio del libero arbitrio (5).
Se un fedele induista non avrà approfondito la propria fede, la propria conoscenza filosofica, la propria coscienza spirituale, potrà manifestare una scarsa sensibilità nei confronti dei problemi legati all'ambiente: detta insensibilità non sarà quindi frutto del suo credo religioso, ma della sua scarsa presa di coscienza. Lo spirito trae linfa vitale dall'ambiente che è anche in grado di contribuire notevolmente al risveglio, sia dei Chakra (6), che della propria vera natura spirituale formata da sat-cit-ananda-vigraha, cioè di conoscenza, eternità e felicità, in una dimensione personale e relazionale con Krsna Dio la Persona Suprema. L'Induismo è una galassia di correnti filosofiche che fanno capo ad un corpus scritturistico dottrinale universalmente accettato e riconosciuto da ciascuna di queste correnti (i Veda, le Upanishad, le Iti-osa, i Purana, ecc….). Gli insegnamenti di base, fondamentali,sono la legge del karma, la reincarnazione, l'eternità dell'anima, l'unicità e il primato di Dio su tutto il creato (l'induismo è graniticamente e monoliticamente monoteista, nonostante le asserzioni incolte e gratuite di alcuni pseudo studiosi di induismo). Dio viene considerato anche attraverso le Sue infinite incarnazioni (Avatara); altri insegnamenti fondamentali nell'induismo sono la conoscenza almeno teorica dello yoga (è sempre consigliato l'esercizio pratico di questa disciplina che Patanjali ha trattato scientificamente in un volume dove ha classificato 8 livelli di yoga) e la pratica realizzata del varna-hasramadharma (7).
I riferimenti all'ambiente nell'induismo sono molteplici e costanti. L'induista inizia la propria giornata molto presto (Brahama-Muhurta), in quanto il "prana" (energia vitale) presente nell'aria è molto più ricco nelle ore che anticipano il sorgere del sole (vi sono meno contaminazioni acustiche e lo smog è minore (8) ). Dopo aver scrupolosamente espletato le proprie abluzioni (la qualità dell'acqua è quindi un elemento importante), egli comincia la propria pratica spirituale (Sadhana) attraverso canti e preghiere sia comunitari che individuali. Queste pratiche religiose si inseriscono all'interno di una delle 8 fasi dello yoga per sfociare all'ultimo livello (se uno è fortunato in questa vita, altrimenti in una delle prossime reincarnazioni) quello dello Bhakti yoga (la relazione di amore e devozione che unisce l'anima infinitesimale a Krsna Dio la Persona Suprema) (9). In tutte le 8 fasi dello yoga, la respirazione, che permette di entrare in contatto con il prana, è un elemento primario di estrema importanza. E' quindi indispensabile che la qualità dell'aria sia priva di contaminazione di ogni sorta (è ovvio che l'induista non arresta le proprie pratiche religiose in presenza di un ambiente inquinato, ma egli ricerca una qualità ottimale quando possibile) (10).
Il fedele induista è abituato a portare rispetto ad ogni entità vivente: se un induista perciò parte dal presupposto di seguire le regole base della propria fede è vegetariano, attento alla legge del karma, lava accuratamente il proprio corpo diverse volte al giorno, attraverso lo studio delle sacre scritture realizza che l'anima è presente in ogni entità vivente (l'anima è la persona e non il corpo umano, è l'anima che abita il corpo e non viceversa, è sempre l'anima infinitesimale particella di Dio ad abitare un grosso corpo d'elefante o quello piccolo di un moscerino (11) ).
In virtù di quanto sopra esposto, come può un induista non essere attento ai pressanti problemi dell'inquinamento a cui è esposto il nostro pianeta da parte di gente e governanti incoscienti? L'induista è attento ai minimi dettagli che possono compromettere l'ambiente vitale, sia perché esso è un dono di Dio (mahatatva), sia perché è una eredità che dobbiamo lasciare alle generazioni future (12). Secondo la legge del Karma, si potrebbe rivedere colui che è stato causa d'inquinamento reincarnarsi con una forma di vita che subirà il degrado ambientale che precedentemente, sotto forma di vita umana, aveva stupidamente causato (13). L'induista è attento costantemente all'ambiente in cui vive, egli è sensibile allo studio degli astri, alla posizione che deve avere la casa in relazione al sole, alla luna, al fiume, al mare, ai monti, ecc. (vastu) (14). La sensibilità dell'induista nei confronti dell'ambiente si spinge fino alla sua dimensione più sottile: egli è consapevole che ogni manifestazione verbale influirà sull'ambiente, in quanto essa non può essere distrutta, ma dopo aver viaggiato per migliaia di chilometri nell'etere del pianeta terra, essa si disperderà nel cosmo senza mai essere distrutta. Alla luce di ciò l'induista riceve l'insegnamento di pensare almeno tre volte prima di proferire un'offesa o una parola aggressiva, in modo tale che il fuoco dell'ira si plachi e divenga più facile controllare la lingua e i sensi (15).
L'induista ha nei confronti dell'ambiente un rispetto profondo e un'attenzione scientifica. L'occidente ha avuto bisogno di microscopi per realizzare pienamente che i batteri e i virus possono essere trasmessi attraverso semplici contatti o attraverso l'aria; in oriente e più specificamente in India questo è sempre stato patrimonio di tutti. Un induista invece di scambiare una stretta di mano (che comunque non viene condannata), saluta giungendo le mani, in casa non entra con le scarpe (portatrici di germi, virus e batteri raccolti in strada), non cucina senza aver fatto prima un'accurata abluzione (16).
Il rispetto dell'induista nei confronti dell'ambiente, non proviene solo da considerazioni etico-morali, anzi esse sono quasi inesistenti (pur avendo un ruolo di rispetto nelle iniziative sociali) perché sminuirebbero la portata, la consistenza e il peso dei ben più profondi motivi per cui è attentissimo all'ambiente e alle entità viventi che lo circondano. Per meglio capire si può portare l'esempio del vegetarianesimo: esso fa parte del modo di vivere dell'induista, in virtù della contaminazione che il corpo riceve nel dover metabolizzare sostanze già state metabolizzate dal proprietario di quel pezzo di carne a cui è stato rubato insieme alla sua vita (in natura non esistono alimenti già stati metabolizzati, la metabolizzazione è una funzione finalizzata all'uso specifico di quel corpo che sta assumendo quelle sostanze per un bisogno di una o più parti del proprio organismo (17) ). Tanto più che la carne che ingeriamo è composta in natura variabile di cadaverina (la cadaverina si forma nel momento in cui l'animale viene ucciso e il flusso sanguigno si arresta non alimentando più le cellule che muoiono dopo breve tempo) e putrescina (la putrescina è il processo immediatamente susseguente a quello della cadaverina, e cioè quando le cellule morte cominciano a disintegrarsi) (18).
In realtà ciò che più sta a cuore all'induista è il passaggio di karma nell'ingerire queste sostanze contaminate, in quanto la vibrazione di dolore e sofferenza dell'animale che percepisce di essere ucciso da lì a poco, diviene parte integrante della carne che andremo poi a mangiare (19). Tutto ciò diviene ancora meglio comprensibile se si analizza come l'animale nel momento precedente all'uccisione secerne degli acidi potentissimi in grado di anestetizzare i nervi e i muscoli per la sofferenza fisica (quella mentale sottile è già presente in forma di una terrificante ansietà), che da lì a poco andrà a subire. Questi acidi sono così potenti che possono far impazzire le cellule, generando l'inizio del processo tumorale. Nell'ingestione di questi acidi presenti nella carne ci si sottopone a questo terribile pericolo (20). Dunque per l'induista il rispetto dell'ambiente deve partire dal rispetto di ogni entità vivente. Le uccisioni di animali innocenti e le guerre appesantiscono il pianeta di vibrazioni di morte che producono una contaminazione (ambientale e mentale) ben più pesante di quella atmosferica, delle acque e della terra (21). Per l'induista l'uomo non è separato dall'ambiente, non è un'isola dispersa nell'oceano: deve essere considerato con tutto il contesto vitale che lo circonda, non escluse le altre entità viventi.
Ma l'uomo sembra dimenticare il contesto in cui vive e sembra più orientato a pensare a se stesso. Egli è chiamato in prima istanza a proteggere e salvaguardare il pianeta e tutti coloro che vi abitano, nessuno escluso. Un induista si rifiuta di trattare la problematica dell'ambiente solo in relazione alle esigenze dell'umanità, perché ciò diventerebbe offensivo della propria dignità e di tutti coloro che insieme all'uomo soffrono per il degrado dell'ambiente (22). L'uomo è ospite di questo pianeta così come qualsiasi altra forma di vita, dalla più piccola alla più grande (23); l'unica differenza è che l'uomo è in grado di contaminare l'ambiente, le altre entità viventi no. Quindi ora che siamo alla ricerca di una soluzione su come salvare l'ambiente non dobbiamo dimenticare coloro che sono le vere vittime e considerare ancora una volta solo la salvezza dell'umanità.
All'inizio di questo testo, ho introdotto come l'uomo o, meglio, la persona (uomo si riferisce alla razza, alla struttura fisica; persona a tutta la dinamica dell'essere umano nei suoi aspetti fisici, mentali, spirituali, relazionali) sia prima di tutto un individuo e a questa individualità non deve mai abdicare (24). La persona, dopo aver pienamente realizzato la propria individualità e aver saggiato l'uso del libero arbitrio, scoprendo in tal modo una interdipendenza tra sé e il creato e Dio, si scopre relazionale, realizzandosi in una dimensione in cui la propria individualità lascia spazio alla dimensione della relazionalità personale e usando la propria individualità per entrare in contatto con la comunità, la società, l'ambiente, le altre entità viventi, Dio. Nel realizzarsi come persona, l'induista è in grado di relazionare e rispettare le energie del creato. Il suo approccio alla salvaguardia dell'ambiente sarà perciò omnicomprensivo e non si riferirà quindi solo all'esclusiva salvezza dell'uomo.
NOTE
(1) BHAGAVAD-GIDA cap. 13 Verso 21
(2) BHAGAVAD-GIDA cap. 8 Verso 3
(3) SRIMAD-BHAGAVATAM Canto 1 Capitolo 19 Verso 24
(4) SRIMAD-BHAGAVATAM Canto 2 Capitolo 10 Verso 3
(5) SRIMAD-BHAGAVATAM Canto 4 Capitolo 29 Verso 5
(6) Manola Mineo, CHAKRA, Antares Editrice, Palermo 2000, pagg 8-9
(7) SRIMAD-BHAGAVATAM Canto 3 Capitolo 12 Verso 43
(8) SRIMAD-BHAGAVATAM Canto 2 Capitolo 5 Verso 25
(9) SRIMAD-BHAGAVATAM Canto 7 Capitolo 4 Verso 13
(10) SRIMAD-BHAGAVATAM Canto 6 Capitolo 1 Versi 13 e 14
(11) BHAGAVAD-GIDA cap. 14 Verso 3
(12) SRIMAD-BHAGAVATAM Canto 2 Capitolo 9 Verso 33
(13) SRIMAD-BHAGAVATAM Canto 2 Capitolo 2 Verso 7
(14) SRIMAD-BHAGAVATAM Canto 5 Capitolo 23 Verso 3
(15) SRIMAD-BHAGAVATAM Canto Capitolo 2 Verso 58
(16) Bhagwan Dash, MANUALE DI AYURVEDA, Edizioni Mediterranee, Roma 1993, pag 16
(17) BHAGAVAD-GIDA cap. 3 Verso 14
(18) Franco Libero Manco, BIOCENTRISMO, Nuova Impronta edizioni, Roma 1999 pag 195
(19) Franco Libero Manco, BIOCENTRISMO, Nuova Impronta edizioni, Roma 1999 pag 71
(20) Franco Libero Manco, BIOCENTRISMO, Nuova Impronta edizioni, Roma 1999 pagg 174,175,176,177
(21) Donald Van Howten, AYURVEDA E LINGUAGGIO DEL CORPO, Edizione Il Punto d'Incontro, Vicenza 1996, Pagg 55,56
(22) B. Bhattacharyya, OMEOPATIA E TRIDOSHA, Edizioni Mediterranee, Roma 1993, pagg 111, 112
(23) SRIMAD-BHAGAVATAM Canto 8 Capitolo 22 Verso 25
(24) Robert E. Svoboda, PRAKRITI, Edizioni Mediterranee, Roma 1996, pagg 15, 16, 17
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