Carissimo Sebastiano,
eccoci, se Dio vuole, alla fine del nostro girovagare nelle vie tortuose ed enigmatiche dell’arte.
Mi appresto infine a trattare l’ultimo punto della mia scaletta e devo confessarti che mi tremano letteralmente le gambe.
Perché? Ma perché mi accingo ad affrontare un tema molto più grande delle mie forze, un tema che si trova al confine ultimo dell’arte e che abbondantemente sconfina nel territorio vasto e grandioso della contemplazione e della filosofia.
Mi accingo questa volta a fare (alla mia età!) un vero e proprio salto mortale. Speriamo che per riuscire, il salto, non debba essere veramente …mortale.
Ma, se ti conosco bene tu a questo punto mi dirai, parafrasando Pascal : ormai “tu sei imbarcato”.
Riassumiamo allora brevemente il percorso fatto ricordando come l’artista esegua essenzialmente un lavoro mettendo a punto una tecnica. Tale tecnica, specifica per ogni artista (stile o linguaggio), gli deve consentire di esprimere il senso di meraviglia che lo coglie di fronte agli oggetti della realtà. Abbiamo poi appurato che questa sensazione o stimolo che abbiamo chiamato meraviglia si manifesta all’artista sotto forma di percezione della bellezza.
Ma a questo punto riaffiora la vecchia ed insoddisfatta domanda: cioè cosa sia in definitiva la bellezza, e se una simile astrazione concettuale possa veramente richiedere agli artisti quella totale dedizione e sacrificio di se, come testimoniato da innumerevoli scritti non ultimi quelli da noi citati nel nostro breve e sommario pellegrinare.
Vogliamo ancora una volta sentire, ascoltare, imparare e farci guidare da chi ha passato il fuoco della passione:
“Il sentimento positivo che l'arte è una cosa più grandiosa e più sublime della nostra personale abilità, della nostra personale capacità e della nostra scienza personale ... il sentimento positivo che l'arte è una cosa che, pur essendo fatta da mani umane, non è un prodotto soltanto manuale, bensì sgorga da una fonte più profonda della nostra anima.”
(Van Gogh - Nuenen, aprile 1884)
ed ancora:
“Per il mio lavoro, io rischio la vita, e la mia ragione vi è quasi naufragata…”
(Van Gogh – Auvers-sur-Oise: lettera trovatagli addosso dopo la morte, 29 Luglio 1890)
questa incredibile confessione non vi ricorda nulla?
“…E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva , e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare”
(G. Leopardi – L’infinito, 1819)
A questo punto chiedo veramente perdono a te caro amico, perché mi mancano ormai le parole, e mi pare solo velleitario voler aggiungere ancora qualcosa a quanto abbiamo udito, che da solo vale più di qualunque altro discorso.
Mi ritiro quindi in buon ordine, lasciando che altri migliori di me e più adatti a muoversi in questo territorio traggano le conclusioni dei nostri discorsi.
“Noi siamo capaci di servirci delle cose, di catalogarle con parole forbite; ma allorché cessiamo di piegarle ai nostri scopi e di imporre loro i modelli del nostro intelletto, rimaniamo come storditi e incapaci di dire che cosa sono in realtà; incapaci di affrontare qualcosa che si affaccia davanti a noi: qualcosa di troppo grandioso perché lo possiamo percepire. Musica, poesia, religione, tutte hanno inizio nell'incontro dell'anima con un determinato aspetto della realtà per il quale la ragione non ha concetti e il linguaggio non ha definizioni.”
(Eschel - “L’uomo non è solo”, pag. 46)
Ed ancora:
“Ciò che caratterizza l'uomo non è soltanto la sua capacità di elaborare parole e simboli, ma anche il fatto di essere costretto a distinguere tra quello che si può e quello che non si può esprimere, il fatto di essere costretto a stupirsi per cose che esistono ma che non possono venir tradotte in parole.
Questo senso del sublime sta alla radice delle attività creative dell'uomo nell'arte, nel pensiero e nel vivere nobilmente. Come nessuna pianta ha mai espresso tutta la segreta vitalità della terra, cosi nessuna opera d'arte è mai riuscita a esprimere tutta la profondità dell'inesprimibile, al cui cospetto vivono le anime dei santi, dei poeti e dei filosofi. Il tentativo di comunicare ciò che vediamo e che non possiamo esprimere costituisce il tema eterno della sinfonia incompiuta dell'umanità, un'impresa destinata a restare sempre inconclusa. Soltanto coloro che vivono di parole prese a prestito credono di possedere il dono dell'espressione. L'individuo sensibile sa che la realtà intrinseca, la sua essenza più vera non può mai essere espressa. La maggior parte - e spesso il meglio - di ciò che avviene in noi rimane un nostro segreto; da soli dobbiamo lottare con esso. Nessuna lingua è in grado di spiegare quel che si agita nel nostro cuore allorché guardiamo il cielo ingioiellato di stelle. Quel che ci colpisce con incessante stupore non è il comprensibile e il comunicabile ma ciò che, pur trovandosi alla nostra portata, è al di là della nostra comprensione; non è l’aspetto quantitativo della natura ma qualcosa di qualitativo; non ciò che si estende al di là del nostro tempo e del nostro spazio, bensì il significato vero, la sorgente e il termine dell’essere: in altre parole l’ineffabile. ”
(Eschel - “L’uomo non è solo”, pag. 18)
Ed ora, caro Sebastiano, credo di aver trovato la risposta alla domanda che ci ponevamo tanti anni fa: “cosa è la bellezza?” in realtà lo abbiamo sempre saputo, tutti gli artisti veri almeno lo intuiscono, ed in questo sono accomunati agli scienziati, ai contemplativi, ai mistici e ai filosofi, ai bambini e ai poeti, ai sofferenti e ai poveri di spirito.
La risposta ce l’abbiamo sotto gli occhi: “IL BELLO E’ LO SPLENDORE DEL VERO”
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