Un sogno
Avevo avuto l’incarico per insegnare in una grande città del Nord: dovevo partire solo io, mio marito sarebbe rimasto giù nel Sud ed io ero felice di partire da sola. Il giorno prima avevo preparato in fretta i bagagli con pochi vestiti, mentre le scarpe le avrei preparate il giorno della partenza. Mia madre, che mi avrebbe accompagnato, stava già sul treno dove avevamo portato i bagagli e mancavano solo tre quarti d’ora di tempo alla partenza.
Le scarpe che avevo ai piedi erano basse, di colore inadatto e per di più una di esse, la sinistra, se ne usciva dal piede. Allora ho deciso di correre a casa a prendere le scarpe. Lì dovevano essere allineate in scatole su un balconcino ai lati di un giardino, ma vedevo solo un cumulo di cacca che sembrava un cumulo di fango scavato dalle talpe o dalle formiche. Sono saltata su una rete per arrivare all’altezza del balconcino e la cosa mi è riuscita con scioltezza. I passeggeri dal treno mi guardavano con ammirazione per il balzo che ero riuscita a fare.
Sono riuscita con affanno a trovare in un altro posto le scatole con le scarpe, ma non trovavo niente di quello di cui abbisognavo per il posto dove andavo. Sono tornata di corsa alla stazione da mamma a chiederle dov’erano le altre scarpe che sapevo di avere e lei mi ha detto che erano in un posto diverso, in certi borsoni. Intanto lì alla stazione, mentre mamma e gli altri passeggeri aspettavano accanto ad un vagone, c’erano già dentro dei bagagli strani: c’era una specie di scatolone di plexiglas opaco e non sembrava ci fosse spazio per i passeggeri.
Sono corsa a casa, ho trovato il borsone, ho recuperato un paio di scarpe adatte e di un altro avevo in mano solo una scarpa. Ho capovolto tutto con ansia, ma non ho trovato la scarpa appaiata. Sono corsa di nuovo al treno per vedere se c’era tempo per la partenza, ma con mia meraviglia e preoccupazione non riuscivo a trovare più i passeggeri che, intanto, si erano sistemati su altri vagoni che non vedevo ma che sapevo esserci sulla curva a sinistra dove svoltava la ferrovia. Dovevo trovare qualche altro paio di scarpe e mi sono messa a correre verso la mia casa, sempre con la scarpa sinistra che mi creava difficoltà perché se ne usciva dal piede. Nella parte del giardino dove cercavo ho notato che c’erano solo piante: da una pendevano tre-quattro pere un po’ troppo mature ed io ho pensato che non valesse prenderle e portarle via. Accanto c’erano alberi in fiore senza i frutti ancora. Ero meravigliata che non ci fossero cose pronte da portar via: eppure ricordavo che avevo tanta roba.
Ma il tempo era poco e temevo che mia madre potesse partire da sola ed io non l’avrei potuta avvisare, dato che non aveva il cellulare, che l’avrei eventualmente seguita con un altro treno. Ci tenevo ad andare dove avevo avuto l’incarico e da un lato rimpiangevo di dover lasciare giù tante cose che sapevo di avere ma non avevo il tempo di trovarle, da un altro lato avevo una sensazione di aver sistemato già nelle valigie le cose più preziose. Intanto l’altoparlante annuncia la partenza del treno. Mentre corro per andare a prenderlo comincia a piovere, mi sento tutta bagnata: comincio a piangere disperata mentre prego ad alta voce “ Dio che sei di tutti, sii anche il mio Dio, aiutami a non farmi fare tardi…”. Piango e grido la mia preghiera, ma temo che Dio non mi senta. Corro nella stazione, ma mi accorgo di essere andata a destra anziché a sinistra e non riconosco la strada o il posto da cui sarei dovuta partire. Piove… è tardi…non so se sto sulla strada giusta e non so se, girando a sinistra, come penso che si debba fare, riuscirò a prendere il treno. Sono anche preoccupata per mamma che non vedendomi non saprà cosa pensare…
E’ uno dei tanti sogni che hanno bussato alle porte della mia coscienza dopo che per tanti anni avevo accettato come ineluttabile il fatto che per me era impossibile ricordare i sogni. Anzi forse non sognavo affatto, nonostante quello che dicono i libri in proposito. Quello del treno e della partenza è stato un sogno ricorrente centrato sul tema della partenza desiderata ma che mai si realizzava nei sogni. Una partenza difficile, sofferta, e tante volte in forse per tutte le cose che non riuscivo a lasciare assieme alla casa, per i timori di non essere pronta, di non avere le risorse necessarie al cambiamento e ai “lutti” che dovevo elaborare, per le difficoltà che avrei dovuto affrontare a camminare con una scarpa sinistra che se ne usciva dal piede.
Questo sogno ho smesso di farlo quando sono partita davvero. Dopo di allora, altre partenze si sono preparate e, puntualmente, sono tornati i treni, gli orari dei treni introvabili dove ricordavo di averli visti esposti, il treno che parte con i miei bagagli, i treni che decido di non prendere, le stazioni ferroviarie incontrate in altri sogni, gli aeroporti che non so se riuscirò a raggiungere, i porti che s’intravedono ma non si sa come arrivarvi, l’aereo sul quale salgo senza preparare la valigia, il tempo che non è sufficiente, la figlia che non riesco a rintracciare, le stanze della casa della mia infanzia, le mura che sono in rifacimento, i libri che devo lasciare a casa perché sono tanti e pesano...: tutto materiale che ho elaborato e continuo ad elaborare a due livelli, quello consapevole e quello inconscio e che mi dà il polso di quanto le varie parti della mia personalità siano d’accordo o meno nel fare o nel consolidare scelte e cambiamenti che mi trovo a mettere in moto.
I sogni: una risorsa non sempre utilizzata
Interrogare le immagini, riconoscere le metafore, scomporre le condensazioni, riconoscere ciò che ha un senso preciso nella simbologia personale e ciò che va al di là della nostra limitata esperienza di vita e che riesce difficile spiegare solo basandosi su di essa (i simboli universali di Jung), affrontare le figure spaventose che negli incubi ci fanno sudare, tremare, rabbrividire di paura o di disgusto, o ci tolgono il fiato fino a che il risveglio col cuore che batte all’impazzata “ci libera” dal disagio, modificare durante il sogno le azioni o i ruoli di certi personaggi che ci tengono soggiogati e poter influire sul decorso del sogno stesso – è il paradosso del “sogno lucido” –, cogliere i cambiamenti nell’andamento della trama o dei simboli personali che abbiamo imparato a riconoscere e a veder crescere, notare le modificazioni dei sogni quando si risponde positivamente alla cura del cancro o quando qualcosa di strano ci segnala che abbiamo a che fare con altre memorie, quelle di chi ci ha donato un organo che si sta ambientando nel nostro corpo: tutto ciò costituisce un compito complesso ma ripagante che vale la pena di affrontare non solo se riconosciamo di aver bisogno di un aiuto clinico, ma anche per essere sempre più protagonisti consapevoli del processo di promozione del nostro benessere psico-fisico.
Di volta in volta può esserci d’aiuto uno psicoterapeuta - quando ce n’è bisogno -, ma, in altre situazioni, anche un amico o un gruppo di “sognatori” guidato da un esperto che s’inoltra nella grande avventura dell’esplorazione dei nostri sogni può essere uno strumento formidabile. Jung, che ha interpretato innumerevoli sogni per gli altri, sentiva di non avere la stessa opportunità per se stesso e se ne rammaricava molto: ”Io non ho uno Jung che interpreti i miei sogni”.
Man mano che apprendiamo a diventare abili nel registrare, interrogare e, talvolta guidare parti significative dei nostri sogni, possiamo scoprire la ricchezza di imparare cose di noi che non sapevamo di sapere. Possiamo crescere. Possiamo mettere insieme in modo più armonico varie istanze spesso in conflitto della nostra personalità. Possiamo dare forma creativa ad un’idea o una sensazione rispetto a cui il pennello, il marmo, la nota, la riga... – la materia in generale – sono portatori di una pregnante urgenza di concretizzare e, nel contempo, della difficoltà a trasformarsi nella “forma” di cui hanno bisogno. Soprattutto possiamo imparare a “preparare” i nostri sogni focalizzando l’attenzione cosciente, per il tempo che occorre, sul tema che ci interessa, esponendoci deliberatamente ad esperienze rilevanti collegate col tema stesso – film, libri, conferenze, opere d’arte... - e predisporre la nostra mente a rispondere ad una specie di “suggestione a sognare” in modo deliberato. L’ ”incubazione” aiuterà a ricombinare gli elementi di cui siamo in possesso in una nuova “gestalt” imprevedibile: essa è in ogni caso unica e personale e sfugge, pertanto, alla facile classificabilità dei tanto popolari quanto schematici dizionari dei sogni di varie provenienze.
Il viaggio in questo mondo imprevedibile può essere uno strumento di crescita personale incredibile. Esso è il frutto sia di un lavoro consapevole, deliberato e attento, sia di un lavorìo inconscio che la nostra mente dormiente riesce a fare per noi segnalandocelo attraverso “tracce” che non sempre cogliamo spontaneamente, anche quando siamo pressati da un problema che coinvolge molto del nostro psichismo e che richiede una sinergia particolare d’energie – mi si passi la cacofonia - e dei tempi di decantazione...
Uno sguardo al mondo antico
La centralità dei sogni nella vita psichica e sociale dell’uomo viene da lontano. Per menzionare solo una delle civiltà a cui siamo debitori diretti, gli antichi Greci, per esempio, usavano i sogni come strumento di guarigione e avevano sviluppato un preciso rituale per raggiungere lo scopo che si prefiggevano. Infatti, se malati, essi s’imbarcavano in lunghi viaggi su strade polverose e accidentate per dirigersi in pellegrinaggio ad Epidauro al tempio d’Asclepio, il dio della medicina e della salute, figlio di Apollo – che, secondo la tradizione mitologica, guariva i malati e resuscitava persino i morti -, portando con sé le offerte dovute per ingraziarsi la divinità. Giunti a destinazione, si preparavano ai sogni badando prima di tutto ad evitare cibi controindicati (vini, certi tipi di pesci e di fagioli, carne...), quindi purificavano il corpo col bagno e si concentravano solo su pensieri puri. Faceva parte del rituale il respirare aria pura nei boschi della valle in cui sorgeva il tempio e il recuperare il giusto ritmo del corpo con la partecipazione ai giochi sportivi e il giusto godimento dello spirito partecipando o assistendo a danze o a spettacoli musicali e drammatici. Lo scenario di sfondo erano le pareti del santuario in cui si snodavano tavolette che illustravano i meravigliosi effetti delle cure di Asclepio.
Avvolti dagli odori intensi degli incensi e assorti nei canti degli inni sacri, essi facilmente scivolavano in un sonno in cui poteva accadere di avere una visione del dio che si faceva vedere dai suoi fedeli… Solo dopo questa premessa era possibile entrare nel dormitorio riservato agli eletti, stendersi per dormire sul vello di una pecora sacrificata al dio tra i sibili discreti d’innocui serpenti a lui consacrati e ….aspettare che il dio si manifestasse loro in modo preciso, così come i sacerdoti avevano predetto ed essi desideravano intensamente.
Il dio poteva manifestarsi nelle sembianze della sua statua d’avorio e d’oro che i pellegrini avevano a lungo contemplato con sacra devozione oppure nelle sembianze di un animale o di un ragazzo. Nel corso del sogno il dio toccava i pellegrini, li curava o diceva loro cosa dovevano fare per curarsi da quel momento in poi e quali ulteriori offerte dovevano fare al tempio. Quando i pellegrini si svegliavano la mattina successiva rinnovati e in buona salute, amavano completare il rito raccontandosi tra di loro i sogni avuti durante la notte.
L’ "incubazione" del sogno
Questo modo di rapportarsi ai sogni viene chiamato incubazione. Pare che nell’antica Grecia ci fossero 3-400 templi dedicati al dio Asclepio e che la pratica dell’incubazione sia stata in auge in quella civiltà per un arco di circa mille anni, dal VI secolo a.C. al V d.c.. Qualcosa del genere succede ancora oggi a Taiwan , dove i pellegrini vanno da ogni dove al monastero taoista che sorge a Musa, vicino a Taipei, con la speranza di avere un sogno di guarigione oppure un segno-guida per affrontare i problemi su cui avvertono di aver bisogno di aiuto. Il metodo dell’incubazione è stato praticato da millenni in epoca precristiana anche da Ebrei, Egiziani, Indiani, Cinesi, Giapponesi e Musulmani. D’altronde i credenti Cristiani di oggi “vedono” i loro santi nei sogni di guarigione dopo essersi concentrati a lungo sulla vita dei santi e sui racconti dei loro miracoli, con fede assoluta e incrollabile, appartandosi nel silenzio discreto delle basiliche o immergendosi nell’atmosfera coinvolgente e ritualizzata dei luoghi tipici dei pellegrinaggi.
Tra gli studiosi si sostiene che probabilmente la pratica dell’incubazione dei Greci fosse destinata inizialmente alla cura della sterilità e che si intrecciasse con forme di prostituzione sacra. Se questa ipotesi avesse un fondamento, non sarebbe difficile cogliere il valore simbolico-sessuale (sostenuto da Freud vari secoli dopo) del serpente sacro ad Asclepio. Dopo questa fase legata alla sterilità, si sarebbe affermata la pratica di ricercare con l’incubazione nel tempio i sogni di guarigione non solo dalla sterilità, ma da vari tipi di altri disturbi e preoccupazioni. Il setting accogliente e silenzioso dello studio di uno psicoterapeuta di oggi, mutatis mutandis, non è poi così lontano dalla tranquillità in cui l’incubazione dei sogni veniva predisposta allora o, ancora più indietro nel tempo, presso popoli primitivi tra i quali chi aveva bisogno di “dormirci sopra” ad una decisione complessa, si ritirava a sognare in una caverna dormendo sulla pelle di un animale sacrificato alla divinità o sulla pietra tombale di qualche antenato.
Le informazioni contenute nel sito hanno esclusivamente scopo informativo e culturale. In nessun caso possono costituire la formulazione di una diagnosi o la prescrizione di un trattamento, e non intendono e non devono in alcun modo sostituire cure mediche, psicologiche o psicoterapeutiche.