Il testo che segue è tratto dalle lezioni di Etnocoreologia di Giuseppe Michele Gala presso la Scuola di Formazione per insegnanti di danza popolare dell'Associazione Taranta e Lega Danza Uisp e dalla rivista Choreola, semestrale di etnocoreologia e tradizioni popolari, Firenze.
"La danza è un insieme di formalizzati cinetici la cui semantica non è più decifrabile" (G. M. Gala)
La gestualità della danza cioè ha dei significati simbolici che il più delle volte sono ignoti sia agli esecutori sia agli spettatori.
Lo studio delle danze popolari è da svolgere su tre livelli: quello della componente musicale, del dato coreutico e dei dati folklorico-etnografici. A volte una delle tre componenti ha meglio conservato il carattere originario.
Le danze popolari italiane possono suddividersi secondo vari criteri:
- geografico
- morfologico
- calendariale
- tematico (es. danze di corteggiamento / armate / terapeutiche / di lavoro / ludiche)
- strumentale
- musicale
- partecipativo (per fascia generazionale, sesso, numero dei partecipanti, in coppia, in gruppo, a 4, a 6, ecc. da soli, a libera partecipazione o a partecipazione rappresentativa ecc.)
Secondo il criterio morfologico e quello della musicalità, che sono interdipendenti, si può distinguere fra danze a struttura chiusa e danze a struttura aperta. Questa distinzione corrisponde anche grosso modo ad una suddivisione geografica:
- Le danze settentrionali e centro-settentrionali hanno forme chiuse e una simmetria delle frasi musicali e delle figure coreutiche in gruppi di 2-4-8 battute. (Ad esempio sulla stessa frase musicale si eseguono gli stessi passi, si ripete se c'è un ritornello, il numero dei passi è fisso perché fisso il numero delle battute. La danza è quindi strutturata, figurata, codificata)
- Le danze del Sud hanno forme aperte, una simmetria lassa, un'armonia tonale inferiore. C'è più spazio per l'interpretazione, la creatività e l'espressività, sia dei ballerini sia dei musicisti. Ciò non significa che essi possano inventare, ma solo ricombinare a piacimento moduli e forme codificati. La durata e la struttura del ballo non sono fisse, ma vengono ripetuti motivi melodici continuamente microvariati.
Ciò corrisponde anche ad una differenza culturale. Al Nord le danze sono una forma di partecipazione collettiva e organizzata del gruppo sociale, al Sud c'è più spazio per l'individualità: quando due ballerini danzano in mezzo al cerchio formato dal paese intero, essi si conformano ad uno schema culturale ben definito, ma si confrontano anche, e la loro performance viene giudicata da un punto di vista stilistico ma anche sociale.
Secondo la morfologia possiamo anche distinguere in:
- Balli a cerchio legato (es. su dillu, passo torrau, ballo tondo, sa danza)
- Balli in cerchio per coppie ( es. alcune forme di tarantella, sciotis, danzo, trallalero)
- Contradanze (es. spallata, russiano)
- Balli in coppia ( saltarella, ballo sul tamburo dell'area vesuviana, tarantella)
- Balli a intreccio (orrosciada)
- Balli a 4 (veneziana, manfrina)
Grosso modo si può dire che al Nord le danze sono di tipo chiuso, come la manfrina (da Monferrina) la furlana, la courento, la giga.
Nell'Italia centrale è (o era) diffuso l'ampio gruppo di danze che appartengono alla famiglia del saltarello. Con numerose varianti e nomi diversi, saltarello, saltarella, ballarella zumparella ecc.
La tarantella è diffusa in tutta l'area meridionale, e a questa famiglia si ricollegano anche il ballo sul tamburo, o tammuriata, della zona circumvesuviana e domiziana, e la pizzica e la pizzica tarantata) pugliese.
Il saltarello, come dice il suo nome, è una danza saltata, cioè con una elevazione dal terreno, a differenza della tarantella, che è una danza in cui la terra viene piuttosto battuta, percossa. Si può far risalire questa diversa distribuzione geografica e morfologica, alla diversa sfera d'influenza dei latini e dei greci. In varie zone dell'Abruzzo, del Molise e della Campania troviamo ancora la spallata (o il batticulo), che alcuni ricollegano all'area abitata dagli antichi sanniti.
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