Verso la fine dell'Ottocento, sbarcarono nei porti sudamericani del Rio de la Plata, in fuga da guerre e carestie, ondate di emigranti italiani, francesi, ungheresi e di altre nazionalità. Carichi di speranze e aspettative, cercavano una nuova vita nella "Terra d'Argento", l'Argentina.
Inizialmente, si trovarono a condurre una vita assai misera e piena di rimpianti, ma, alla fine, così come centinaia di migliaia di persone prima di loro, furono costretti ad abbandonare il sogno di una terra provvida di ricchezze, travolti da vere e proprie ondate di immigrati che dalle campagne letteralmente invadevano le nascenti metropoli di Montevideo, Rosario e Buenos Aires in cerca di lavoro.
Nonostante la durezza dei lavori disponibili, dato la grande disponibilità di manodopera, i salari erano piuttosto miseri. Famiglie di Italiani, Francesi, Ungheresi, Ebrei e Slavi, cui presto si unirono schiavi liberati e Argentini della seconda e terza generazione, provenienti dalle pampas, convivevano in squallidi appartamenti in quartieri costruiti dal nulla, detti "Orilla", creando una miscela unica e irripetibile di tradizioni etniche e culturali che è diventata l'ingrediente magico di un processo creativo.
Nei vicoli dell'Orilla, i nuovi Argentini condividevano un destino di disillusione e disperazione, da cui ben presto emerse una speranza comune rappresentata da una volontà di fuga, sia pure soltanto momentanea, dall'oppressione, sentimento forte espresso in canzoni, cantate in "Lunfardo", il dialetto degli emarginati, sorta di lingua comune fortemente influenzata dal Francese e dall'Italiano.
Le canzoni cantavano la tristezza delle persone, ma anche la loro felicità e le loro gioie. Cantavano la nostalgia e la distanza, le speranze e le aspirazioni. Cantavano la solitudine, ma anche la lealtà e la fratellanza nell'avversità. La canzone, come in tante altre parti del mondo, divenne la consolazione in musica dell'uomo. E la canzone richiede come suo completamento espressivo la danza ed è così che nel vicoli di Buenos Aires, è nato il tango.
Nel tango, gli afroamericani hanno portato il ritmo delle oscure e distanti origini africane, il Condombé. Con i Gauchos delle pampas, arrivarono i Payadores e la loro musica, la Milonga (che in Spagnolo significa festa), che usavano per improvvisare canzoni accompagnate dalla chitarra,trasmettendo le notizie di fattoria in fattoria. Con i colonizzatori spagnoli e probabilmente anche mediante la migrazione degli schiavi, si diffuse l'Habanera, la danza dell'Avana a Cuba, che divenne un altro ingrediente di questo unico e originale melting pot.
Alcuni storici ritengono che le origini dell'Habanera vadano addirittura ricercate in una danza inglese del 17 secolo, diffusasi in Francia come Contredanse, e da lì, cinquant'anni dopo, approdata nella zona dei Pirenei spagnoli come Contradanza prima di approdare a Cuba insieme ai colonialisti spagnoli e trasformarsi appunto nell'Habanera, cui si aggiunsero le varie tradizioni musicali e gli stili tradizionali dei paesi d'origine degli immigrati italiani, francesi, ebrei e centro-europei.
Il termine "tango" iniziò a diffondersi verso il 1820, riferito ad un tipo di percussione usata dagli afromaericani. Può sembrare una forzatura associare questo significato con la danza che, sebbene almeno in apparenza porti lo stesso nome, si diffuse sessant'anni dopo. In origine, gli strumenti musicali del Tango erano, infatti, il pianoforte, la chitarra e il flauto che, in combinazione con le diverse tradizioni musicali degli immigrati, produssero uno sviluppo della Milonga in una prima forma anticipatoria del Tango, così come oggi lo conosciamo.
La musica dava agli immigrati la possibilità di lasciarsi andare nella nostalgia per un più felice passato, di provare un momentaneo attimo di piacere nel presente e di sognare un futuro migliore. E poi, la musica gioiosa e i ritmi sincopati della Milonga portavano con sé il senso del momento, un attimo di fuga temporanea, la possibilità di dimenticare, sensazioni da apprezzare.
Quando poi la danza terminava e i ballerini tornavano nelle loro squallide e patetiche abitazioni, ben altra era la canzone che si cantava! Fra la gente dei bassifondi, il pianoforte era sostituito dal bandoneòn, una sorta di fisarmonica. Amato dagli Italiani, ma originario della Germania - lo strumento fu inventato da Heinrich Band (da cui il nome) - dove venne impiantata la prima fabbrica nel 1843.
Il bandoneòn fu creato come strumento per la liturgia ecclesiastica, con lo scopo di sostituire l'organo nelle parrocchie meno dotate di mezzi economici. Nel gennaio del 1868 una nave svedese, la fregata "Landskrona" gettò le ancore nel porto di Buenos Aires. La leggenda racconta che parte dell'equipaggio fu invitato ad abbondanti libagioni, della durata di tre giorni, nei locali dell'angiporto e che un marinaio, avendo speso fino all'ultimo peso, barrattò il suo bandoneòn (che si ritiene essere stato il primo in tutto il Sud America) per un’ultima bottiglia di liquore.
Con l'introduzione dei particolari timbri musicali del bandoneòn il Tango venne a perdere la sua apparenza di gioiosità per acquisire una sonorità più corposa e accorata che meglio andava a descrivere le emozioni che la canzone voleva esprimere.
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