La parola mito deriva dal greco múthos, “ciò che è detto”, una storia, una cosa raccontata e “logos”, “discorso”. Ma se diciamo che un mito è una storia, dobbiamo subito aggiungere che si tratta di una storia “non vera”, per esempio su dei e dee che non sono mai esistiti.
Solitamente i miti sono rappresentati da opere letterarie, ma sotto il termine “mitologia” possono essere inclusi tutti i racconti tradizionali appartenenti a una data cultura o religione. Nel corso della storia, queste vicende sono circolate in forma letteraria, popolare (canti popolari, ballate, ecc.) o trasformate in cronache storiche, scritte nelle corti reali o nei monasteri. In genere, le civiltà antiche hanno considerato i loro miti come la memoria di avvenimenti realmente accaduti, spesso legati all’origine stessa del mondo. Soltanto civiltà dotate di una cultura molto complessa e ricca sono giunte a mettere in dubbio la verità letterale dei miti, quindi, a domandarsi le ragioni e i modi della nascita di questi antichi racconti. Perciò quando parliamo di mitologia molto spesso siamo portati a pensare a qualcosa che non esiste o che non è mai esistita; però da sempre facciamo riferimento alla mitologia per interpretare tutte quelle vicende che non hanno un riferimento storico preciso e quindi vengono da molto lontano, come si suol dire: si perdono nella notte dei tempi. Questo perché l’uomo da sempre riflette sulla propria esistenza, per capire la sua origine e quella della terra in cui vive. Alcuni di questi aspetti del mito sono simili in ogni parte del mondo, così come sosteneva Giorgio De Santillana, per affermare che oggi è necessario affrontare una lettura “su più livelli” del mito. Se prendiamo ad esempio il diluvio universale ci rendiamo conto che questo mito si trova in quasi tutte le antiche mitologie, anche in popoli geograficamente molto distanti fra loro. La prima ipotesi che si affaccia alla mente è che questo mito sia la descrizione di un’alluvione avvenuta in tempi remotissimi, il cui racconto fu tramandato oralmente per essere poi trascritto.
Non esiste cultura antica senza una propria mitologia; quella greca e romana è da noi più conosciuta, ma sono ricchissime e affascinanti e ora anche più note agli occidentali la mitologia indiana, del medio oriente, africana, sudamericana.
L’albero, come avremo modo di vedere, è stato sempre presente in tutte le mitologie, che nelle varie culture ed in tempi diversi, hanno suggestionato l’individuo fino a immaginare nei boschi templi a cielo aperto, per erigere dei veri e propri altari e qui immolare le vittime. Il bosco da sempre è stato visto come luogo “selvaggio” antitetico alla città “civile” (urbana). Nell’antica Roma gli schiavi e i gladiatori rivolgevano un culto particolare agli alberi, per la connessione tra la loro condizione servile (come negazione della libertà e della “cittadinanza”) e la speranza di una conquista sociale, di una posizione conseguente alla libertà, corrispondente al desiderio di uscire dal bosco: affrancarsi dal padrone (dominus) e diventare libertus (liberatus), con l’attribuzione di nuovi diritti, ricevere il rudis (spada di legno), realizzato con il legno dei boschi concesso ai gladiatori per le esercitazioni nelle palestre.
L’ALBERO COME MITO COSMOGONICO
Insieme con l’acqua l’albero è il simbolo della creazione.
Nessun’altra forma rappresenta la vita quanto lui.
Ignácio De Loyola Brandăo
I miti cosmogonici, vale a dire le teorie che intendono spiegare l’origine dell’universo, ci lasciano immaginare un’epoca in cui la disposizione dei continenti era diversa da quella attuale, in cui forse l’immensa distesa degli oceani era interrotta da piccole isole e si verificavano grandi migrazioni avvenute tra i continenti.
Diversi miti risalgono ad un’epoca in cui gli indiani del Nord America vivevano ancora nelle regioni dell’Asia del nord, i quali ancora non avevano attraversato quella striscia di terra che avrebbe aperto davanti a loro la strada alle immense pianure del Nord America, e forse ancora ricordavano la loro antica convivenza con gli altri popoli che si erano spostati molto più a sud, verso l’Asia centrale o molto più ad ovest, in prossimità dell’area mediterranea.
Un antico mito indù racconta che in principio c’erano solo le acque e il dio Vishnu (considerata una divinità onnicomprensiva) che vagava sulla sua superficie. Vishnu voleva degli amici e allora dal suo ombelico spuntò un “albero” di cachi o kaki (Diospyros kaki L.) e dai petali del fiore di loto nacquero gli uomini.
Svariati popoli che vivevano in condizioni sociali e culturali diverse, ed anche molto distanti tra loro, trovarono nell’immagine dell’albero l’idea della creazione, della rinascita, della purificazione, per giungere infine al concetto di eternità.
Molto frequentemente l’albero cosmico rappresenta l’indicazione della via che tramite esso congiunge il cielo alla terra, come anche il simbolo della “montagna sacra”, sulla cui cima si vive, se non a diretto contatto con gli dei, comunque ad una distanza molto ravvicinata. L’albero, sulla parte più alta della montagna, accorcia ulteriormente questa distanza avvicinandosi ancora di più al divino. Alcuni monaci divenuti poi santi trascorsero parte della loro vita sopra un albero come segno di penitenza. Si distinguevano dagli altri eremiti poiché appartenevano alla categoria dei santi “dendriti” cioè quelli che avevano vissuto e pregato sugli alberi; in eterna convivenza con la montagna per continuare a vivere una relazione perfetta.
Così i Greci avevano la loro montagna più alta, l’Olimpo, gli Ebrei il Tabor in Galilea, i popoli celti la Montagna Bianca, i Cinesi il K’uenluen, gli antichi Araucani (vecchi abitanti della regione sudamericana che oggi corrisponde all’odierno Cile) abitavano il monte Tenten. Gli uomini per onorare i loro dei, nelle regioni pianeggianti dove non c’erano montagne naturali, costruirono alture artificiali; in Egitto costruirono le piramidi, in Cina le pagode, mentre i Babilonesi costruirono le Ziqqurat, nel tentativo di congiungere terra e cielo.
I linguisti affermano che quasi tutte le lingue parlate in gran parte dell’Europa, cioè quelle chiamate indo-europee, quelle stesse parlate e capite fino all’Asia, discendono da un unico ceppo linguistico; per cui l’idea di montagna, altura, luogo elevato era indicata con una radice Alb/Alp. Da questa radice deriva, ad esempio, la parola che designa le Alpi. E dalla stessa radice deriva anche la parola albero e così, anche nella storia del linguaggio, la parola montagna si associa a quella dell’albero con un connubio strettissimo e indissolubile. Non solo, dalla stessa radice deriva anche la parola “alba”, la nascita del sole. Sia l’albero che la montagna compaiono nell’universo mitico al centro della prima grande nascita, la nascita del mondo. E ancora, dalla stessa radice deriva spesso il nome di corsi d’acqua, come è il caso dell’antico nome Alpi, dove nasce il fiume Inno (Inn) affluente del Danubio.
Così l’albero, la montagna, l’acqua, appartengono allo stesso scenario mitico e sacro, quello della creazione e della nascita del sole quindi del cosmo.
Qui possiamo fare riferimento al simbolo alchemico dell’uovo, che nell’immaginario comune contiene la vita. Nella fantasia dell’artista invece viene raffigurato nel suo interno il residuo di un albero spoglio (che non è morto) anzi, una piccola radice fuoriesce cercando di attecchire con ostinazione.
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