Ogni volta che apri un libro,
un albero sorriderà
sapendo che c’è vita dopo la morte,
lasciandoti un ricordo
come retaggio.
L. De Sanctis
Un albero, per definizione botanica, è una pianta legnosa più o meno durevole, un organismo autotrofo, capace di svilupparsi in altezza (oltre 5 metri) grazie ad un fusto legnoso, detto tronco, il quale normalmente inizia a ramificarsi a qualche metro dal suolo. Un’associazione vegetale formata da alberi, arbusti, cespugli può anche essere bosco. Sembra elementare e anche riduttivo questo chiarimento però si può forse cercare di comprendere il significato di un albero o di un bosco capendo e penetrando contemporaneamente i vari misteri della vita. Infatti essi sono l’espressione più alta e più grande della natura. L’albero, sia isolato che in bosco, è la più grande forma di vita terrena, l’espressione della saggezza della materia e della realizzazione del singolo rapportato alla multiforme comunità. L’uomo è stato da sempre enormemente influenzato dagli alberi; a conferma di ciò basta addentrarsi nella letteratura, nell’arte, nella storia, nella leggenda, per trovare ovunque un riscontro piccolo o grande che sia. Chi volesse ricercare notizie e curiosità sugli alberi nella storia dell’uomo, scoprirà che i boschi e le foreste hanno avuto da sempre un ruolo determinante, inizialmente da un punto di vista superstizioso e successivamente anche religioso. In seguito hanno avuto (ed ancora hanno) una rilevanza economica, una funzione protettiva, paesaggistica; ultima, e forse non del tutto ultima, terapeutica. Il genere umano è stato affascinato dagli alberi poiché li ha sempre visti come fonte di alimentazione, primo presupposto della sua stessa sopravvivenza. I nostri antenati primati vivevano sugli alberi, poi sulla terra, nelle caverne, e uscendo dalle caverne, col legno dei boschi hanno costruito la prima casa, la prima arma per difendersi, la prima imbarcazione per muoversi sull’acqua, per poi arrivare alla ruota e via via fino a cavalcare le onde con il surf e realizzare il primo aeroplano per librarsi nell’aria, realizzando il più antico sogno. Dall’albero colpito dal fulmine, si pensa sia scaturito il primo fuoco che ha illuminato la notte; l’uomo ha constatato che gli animali feroci non si accostavano a questo chiarore derivato, all’area interessata dal fenomeno, quindi, usandolo si è protetto; governandolo, ha potuto non solo scaldarsi nella stagione avversa, ma anche cuocere il cibo e conservare la dieta proteica affumicando ed essiccando la carne; per non parlare dei segnali prodotti dal fuoco, come il fumo, i quali furono utilizzati come primo mezzo di comunicazione.
Questo evento ha segnato una svolta determinante per staccarsi dalle altre specie viventi. Infatti da questa scoperta non solo è iniziato il cammino del progresso umano, ma si è dato vita alle diverse abitudini alimentari. Sempre tramite il fuoco, l’uomo ha scoperto i metalli e la loro fusione: prima lo stagno, poi il rame e quindi la loro lega, il bronzo; avviandosi così verso la tecnologia per ricercare materiali più resistenti e meno pesanti.
Con le foglie, le radici, i frutti e le resine degli alberi, ha sperimentato i primi rudimentali medicamenti naturali, primo passo verso la medicina. Vivendo nei boschi a diretto contatto con gli alberi, osservandone i cicli, prendendo in considerazione la loro lunga vita ha riflettuto sullo scorrere della sua limitata esistenza e si è affidato al loro potere. L’uomo ha così sviluppato una sorta di cultura simbolica, legata al pensiero astratto. ha considerato l’albero come collegamento fra la terra ed il cielo, vedendo contrapposte queste realtà, forse credendole antitetiche, perché distanti e in competizione tra loro: quella che noi chiamiamo la parte ipogea, dove l’albero affonda le radici, costituiva il mondo degli inferi, il regno di Ade, e la parte epigea, dove l’albero con il tronco e i rami svetta la chioma per cercare il sole verso la volta celeste in direzione del cielo, la dimora dell’Onnipotente. Immaginiamo quale meraviglia e quanto stupore nasceva nell’uomo nel constatare che l’abete e il cipresso, due piante incredibilmente tenaci, pur non perdendo le loro foglie, riuscivano benissimo a prosperare nei luoghi più impervi, senza temere la morsa del gelo o la forza del vento, contrariamente alla quercia o al castagno, che per oltrepassare l’inverno erano costrette ad abbandonare le foglie che poi sarebbero ricresciute in primavera, durante una stagione favorevole, quando il sole avrebbe riscaldato la terra, o meglio, quando il periodo di luce sarebbe stato più lungo del periodo di buio.
In parti diverse del globo l’uomo ha venerato gli alberi attribuendoli alle divinità più disparate, poiché, per sopravvivere ha dovuto nutrirsi dei loro frutti. Quando non capiva il motivo di determinati eventi li attribuiva a qualche divinità che voleva punire (o premiare) lui e tutto il genere umano.
I primi abitatori dei boschi senza dubbio sono stati i celti che agli alberi riconoscevano un ruolo di primo piano non solo nella loro visione complessiva e sacrale della natura, ma soprattutto nelle pratiche terapeutiche e religiose. Per loro i boschi erano luoghi sacri per eccellenza, templi all’aria aperta destinati alle divinità da cui gli uomini hanno dedotto il primo concetto di architettura facendo riferimento ad alberi indigeni come una sorta di pantheon arboreo, dove le varie specie degli alberi erano diversamente connotate per offrire loro sacrifici, doni e rivolgere suppliche, proprio perché... nel bosco l’uomo è nato e ha fatto le esperienze fondamentali: lì, soprattutto, si è differenziato, quando dall’androgino si sono originate due figure con sesso definito. Nella selva, poi, l’uomo ha imparato a vivere in modo essenziale, conducendo la vita delle belve. Lì ha scoperto l’amore e ha conosciuto l’alternarsi del giorno e della notte, la paura delle tenebre, l’attesa della fiaccola rosea del sole: la prima fiducia nella natura e nei suoi doni. La vita non era certo rilassata, perché le fiere non facevano dormire sonni tranquilli. Sopravvivere era la principale occupazione: la ricerca di cibo e di riparo, la difesa dalle insidie, la soddisfazione degli istinti sessuali e il riposo notturno occupavano la quasi totalità del tempo. Eppure, nella foresta c’era posto anche per la gentilezza, se è vero che sotto l’ombra degli alberi si potevano trovare doni preziosi come la musica: le prime lezioni di armonia le hanno tenute le voci degli uccelli e i venti che giocavano con i cavi dei giunchi. Nei boschi, un po’ alla volta, l’uomo ha preso coscienza della propria diversità.
Nei boschi e nelle foreste hanno trovato rifugio sia briganti, come Carmine Crocco nei boschi del Vulture, che eremiti; eroi popolari come Robin Hood, Lancillotto e altri, sono partiti dai boschi per compiere le loro gesta.
Anche in oriente, si è avuto riscontro di eroi simili come il leggendario guerriero Ishikawa Goemon vissuto in Giappone nella seconda metà del 1500. Questi, dopo aver appreso nei boschi le arti marziali divenne un ninja e in seguito un bandito che rubava monete ed oro ai ricchi per distribuirle ai poveri. Il mitico guerriero, per le sue gesta, è divenuto simbolo del folclore nipponico. Fu condannato a morte dopo aver attentato alla vita di un alto militare giapponese, il samurai Toyotomi Hideyoshi. In Russia, si racconta di un boscaiolo, tale Ivan Susanin, il quale venne intercettato da alcuni sicari e sottoposto a feroci torture perché rivelasse dove si trovava lo Zar, alla cui vita si voleva attentare. L’impavido non disse nulla, pur consapevole che sarebbe stato sottoposto, per vendetta, a ogni genere di vessazione. Infine simulò di cedere dando a credere di condurli al Monastero Ipatiev per una scorciatoia che attraversava la foresta, dove sarebbe stato nascosto lo Zar. I criminali lo seguirono e nulla si seppe più di loro. Si presume che Susanin li condusse in un punto in cui la foresta era più fitta tanto che non trovarono più una via d’uscita e morirono tutti in una freddissima notte d’inverno.
Rappresentazioni teatrali, libri e liriche raccontano le gesta del salvatore dello Zar ritenuto un patriota (in figura il monumento nella città di Kostroma). Il termine “Susanin” è divenuto poi, nel linguaggio corrente russo, un modo ironico di indicare una persona che propone di condurre in un posto, dicendo di conoscere la strada, ma che non riesce poi nell’impresa.
In occidente (USA) si aveva altra visione del bosco, ed altra concezione: “Andai nei boschi perché volevo vivere in profondità e succhiare tutto il midollo della vita... per non scoprire in punto di morte di non aver mai vissuto”. Con questo aforisma David Henry Thoreau riassume tutta l’esperienza acquisita nel bosco per oltre due anni vivendo in una capanna di legno da lui stesso costruita. Proprio lì per sua scelta aveva deciso di ritirarsi andandosene a risiedere solitario in mezzo alla natura e sperimentare una insolita forma di libertà. In mezzo a tanta magnificenza con intensa meditazione scrisse Walden, ovvero La vita nei Boschi. Con questa forma di vita libera nel bosco si voleva dimostrare la fattibilità di una vita semplice al di fuori dal progresso sfrenato e invadente che lui per primo, come tanti altri in quell’epoca non condividevano. Tale modo di vivere divenne poi negli anni Sessanta del secolo scorso una fonte di ispirazione per i giovani protestatari americani, i “figli dei fiori”. Va ricordato che proprio negli Stati Uniti venne istituito il primo parco naturale del mondo, quello di Yellowstone e, nello stesso anno, si manifestò con grande successo la prima “Festa degli Alberi” (10 Aprile 1872, denominata Arbor Day) da dove si diffuse poi in numerosi altri paesi del mondo.
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